DIRE "NO": come, quando e perché.

25.04.2021

 "È tutt'altro che facile trovare il giusto mezzo tra proibire di continuo ai bambini ogni cosa e lasciarli fare tutto quello che vogliono", queste sono le parole dette da una madre durante una trasmissione radio nel 1960 e riportare nel libro "Colloqui con i genitori" di D. W. Winnicott (1993, Raffaello Cortina).

Nel corso della trasmissione, alcune madri erano invitate a discutere sul come dire "no" ai propri figli piccoli; successivamente, Winnicott commentava il dibattito.

Vengono individuate tre fasi del "no": nella prima, è chi si occupa del bambino ad essere totalmente responsabile di quello che accade, nella seconda si comincia a dire dei "no", per proteggere il bambino da eventuali pericoli, nella terza si possono offrire al bambino delle spiegazioni e ottenere così la sua collaborazione.

Questi tre momenti sono successivi nel tempo, ma in parte si sovrappongono.

1 - Il "no" viene dal "sì":

Nella prima fase, tutta la responsabilità ricade su chi si prende cura del bambino: si tratta di un periodo molto faticoso, ma fortunatamente limitato nel tempo. Chi si prende cura del bambino, lo protegge da qualunque pericolo che possa venire da fuori: in questo periodo, al bambino viene detto un grande "sì", mentre il no è riservato all'esterno.

Sulla base di questo sì iniziale, si costruisce la possibilità di dire al bambino anche il "no".

Lo sviluppo del bambino si costruisce su ciò che l'adulto che se ne occupa approva, più che su quello che proibisce.

2 - Pochi, ma importanti:

La seconda fase è quella in cui si può incominciare a dire qualche no, in modo graduale: all'inizio, i "no" devono essere pochi e detti per le cose veramente importanti.

Ciò comporta ancora un adattamento da parte dell'ambiente: siccome i "no" devono venire uno o due alla volta, ciò che può ancora costituire un pericolo per il bambino, deve essere messo fuori dalla sua portata.

È importante che chi si prende cura del bambino, per cominciare a dire i primi "no", si senta disteso e sereno: se è infelice, infatti, potrebbe tendere ad accentuare gli aspetti felici ed amorevoli dell'accudimento e riuscire a dire "no" solo quando arriva all'esasperazione.

3- Il tempo dei "perché":

Nella terza fase si possono dare spiegazioni ai bambini e ottenere così la loro collaborazione.

Come si è visto, questo va costruito nel tempo ed è una bella soddisfazione sentire che il bambino capisce la motivazione di un divieto.

Ai bambini piccoli, scrive Winnicott, piace anche sentirsi dire "no": essi non giocano solo con le cose morbide, ma sanno apprezzare anche quelle dure, allo stesso modo il "no" che arriva dal genitore può essere sentito come un segno di amore, tanto quanto le coccole.

Dottoressa Filomena Forino