"Il Divin codino": il rapporto genitori-figli nello sport

04.09.2021

 È da un po' di tempo a questa parte disponibile su Netflix un film che tratta della vita di uno dei più noti calciatori anni 90, inizio anni 2000: Roberto Baggio. Il film ha il titolo de "Il Divin Codino" e la regia è di Letizia Lamartire.

Il calciatore italiano ha lasciato un marchio indelebile nel cuore degli italiani, pur non restando mai legato in maniera indissolubile ad una squadra in particolare. Come ben evidenziato nel film, Baggio era dotato di una personalità che difficilmente riusciva ad amalgamarsi con lo spirito dello spogliatoio in cui andava ad inserirsi: giocatore straordinariamente talentuoso e in grado di cambiare da solo la storia di una partita, aveva però una personalità non biodegradabile all'interno di uno spogliatoio.

Nel film è presentato come un ragazzo schivo, silenzioso, introverso e dotato di forti valori personali, che difficilmente era disposto a negoziare o a rimodulare, ma capace di esprimersi ad altissimi livelli se la squadra era costruita intorno a lui.

Lo sceneggiato ripercorre le tappe più significative della sua carriera, presentandoci e consentendo di immedesimarci con gli aspetti più fragili del campione italiano.

In particolar modo, appaiono come punti critici nella sua vita: i rapporti burrascosi con i vari allenatori che ha incontrato, i ricorrenti infortuni, il rigore decisivo sbagliato contro il Brasile nel 1994.

Il regista sembra proporre l'idea che la carriera di Baggio sia stata come una difficile scalata verso la conquista della consacrazione in nazionale, scalata che diventa caduta nel vuoto nel giorno in cui fallisce il rigore più importante.

Molti altri traguardi si susseguono nella carriera di Baggio (tra cui il Pallone d'oro del '97) ma , da come vengono presentati nel film, sembrano non essere percepiti degni di nota nel vissuto del protagonista, che è rimasto ancorato al suo sogno sfumato di consacrazione nei mondiali di calcio.

Il peso del rigore sbagliato non è tanto un tradimento o una sconfitta verso il proprio paese, ma ha le sembianze di una promessa mancata scolpita in un ricordo familiare: Baggio, all'età di 4 anni, giura al padre che un giorno avrebbe vinto per lui i mondiali di calcio contro il Brasile.

La vita lo pone lì dove questa promessa avrebbe potuto compiersi, tuttavia, lui che non aveva mai sbagliato un rigore, lo sbaglia.

La grande magia del film non è solo quella di presentarci la carriera di un calciatore "umano", con I suoi dubbi e le sue incertezze, ma anche quella di renderci partecipi di una scoperta che l'allora giovane Baggio compie: il ricordo custodito tanto gelosamente in realtà era un'invenzione del padre.

Nel finale del film, dopo la rabbia iniziale, questa scoperta assume quasi le fattezze di una liberazione per il calciatore: sollevato dal peso di dover giocare un nuovo mondiale, sollevato anche dal padre dal peso di una promessa mai fatta, Baggio si accorge della realtà circostante: si accorge che la gente lo apprezza ed è orgogliosa di lui.

Un nodo centrale che riguarda molti sportivi ma anche molti giovani che vorrebbero soddisfare le attese dei propri genitori è riuscire a comprendere realmente di chi sono queste aspettative.

Il film mostra bene come la situazione risulta essere estremamente complessa perchè, molto spesso, grandi aspettative sono nutrite dai genitori rispetto ai figli già in tenera età se non prima della nascita stessa.

Le aspettative possono assumere i connotati di una riparazione che il figlio deve fare rispetto a parti interne doloranti dei genitori: la ricerca costante del successo può quindi diventare un modo per rivitalizzare I propri genitori da sentimenti depressivi.

Si crea quindi un incastro molto complesso fra genitori e figlio: da un lato, I figli devono sforzarsi di essere "qualcuno", perchè altrimenti temono di perdere amore e protezione, dall'altro lato i genitori hanno bisogno dei successi dei figli per non scivolare in vissuti depressivi o rabbiosi che, per l'immediatezza con i quali arrivano, risultano difficilemente controllabili.

In questa condizione, l'economia psichica di molti sportivi e di molti professionisti di vari settori viaggia su un costante rilancio in alto del proprio desiderio.

Sempre più forti, sempre più ricchi, sempre più bravi salvo poi non essere contenti perchè permane il dubbio di non sapere se I successi che si raggiungono sono per se stessi o per l'Altro e se quindi hanno un valore oppure no.

Già Freud nel saggio sul lutto e la melanconia aveva posto in luce il difficile rapporto che intercorre fra l'Io del soggetto e quello dell'Oggetto, laddove il primo rischia di confondersi col secondo. Winnicott e Lacan hanno inoltre evidenziato come il fallimento sia per alcune persone l'unica via attraverso la quale poter iniziare una vita autentica e vissuta come propria.

In conclusione, credo il film metta in luce come anche nelle vite di grandissimi campioni che a ,un'occhio esterno, sembrano felici e piene di soddisfazioni, possano celarsi delle ombre che Freud ci ha insegnato a ricondurre alle tracce di un fortissimo legame narcisistico fra genitori e figli.

La funzione di un lavoro psicologico in questi casi è quella di dipanare questi fili, provando nel rapporto terapeutico a rappresentare per il paziente quell' "oggetto nuovo" che non lo invaderà con le sue richieste e che lo aiuterà nella scoperta degli aspetti più autentici di se stesso.

Dalla parte del sostegno alla genitorialità, invece, il lavoro terapeutico può aiutare a mitigare queste aspettative riuscendo a ricostruirne il senso e l'origine assieme alla coppia.

Lo sport in questo modo può diventare uno spazio personale e creativo di espressione di sè e non un gabbia, una prigione, una missione di vita o di morte come lo è per la vita di molti giovani sportivi.

Dott. Giovanni Fiderio

Bibliografia:

Freud 1915 "Lutto e melanconia" OSF vol. 8 Bollati Boringhieri