Un ricordo del professor Carli

08.01.2023

Un ricordo del professor Carli

A circa un anno dalla scomparsa dell'ideatore del mio corso di Laurea in psicologia clinica ho pensato di condividere alcune righe sul mio blog che potessero testimoniare il modo di insegnare psicologia di Renzo Carli. Chi scrive non è un cultore del suo modello, non ha dedicato tempo ulteriore a quello dell'Università allo studio del suo pensiero e non ha avuto con lui rapporti di conoscenza o approfonditi scambi professionali.

Ero semplicemente lì, ero uno di quegli studenti che decidevano di frequentare le sue lezioni.

Incontrarlo, sentirlo parlare, coinvolgersi mentre snocciolava le trame del suo discorso era un'esperienza irripetibile, inafferrabile, imprevedibile e ti lasciava sempre quella sensazione di quando ti sporgi da un' altura e ti senti mancare il terreno sotto i piedi. Era una facoltà che parlava di neuroni, di linee guida, di manuali, di studi scientifici, di marketing, di stress lavoro correlato, di modelli integrati, di DSM, di modelli operativi interni, di adult attachment interview.

Poi arrivava lui ultra ottantenne vestito in total black che con un tono pacato, lucido, schietto, razionale squarciava con un taglio netto il velo di Maya che ricopriva i tuoi studi e rivelava una verità silenica: guai a prendere qualsiasi costrutto, qualsiasi diagnosi, qualsiasi test come attendibile al di fuori della relazione fra due individui. Amava ripetere che l'unica legge attendibile che la psicologia aveva inventato era la legge di Weber-Fechner Inventato secoli orsono dopodiché non possiamo dire assolutamente nulla che sia scientifico.

Uscivi da una sua lezione ed eri stravolto. Le reazioni degli studenti erano le più diverse potevano andare del rigetto, allo spergiuro, alla negazione, all'amore, all'affiliazione, sino alla venerazione. Ad ogni modo io mi ricordo bene cosa mi sono chiesto appena l'ho visto: "Ma questo che dice queste cose, chi è?"

Un docente ci spiego poi che la psicologia in Italia è iniziata con tre persone prima: Musatti, poi Ancona e poi c'era lui, Carli. Dopo che ti dicevano questa cosa lo guardavi più attentamente e pensavi che era immortale o perlomeno che era più vivo, più lucido, più presente a se stesso di te che avevi supergiù 20 anni. Era una di quelle persone per le quali non rimpiangeresti mai il fatto non averle conosciute quando erano più giovani, privarlo dei suoi anni infatti, avrebbe voluto dire privare te stesso di qualche pietra preziosa che aveva trovato più tardi e che era venuto ,in quel momento, generosamente a donarti .

Incontrarlo ti faceva realizzare che il mondo non funziona come ti hanno abituato a credere. Hai infatti passato parte della tua vita a vedere calciatori, supereroi, rock star e a credere che se avevi venti anni eri nel momento più significativo della tua vita. Pensavi ,quindi, che ti dovevi sbrigare, affannare, e ,al tempo stesso, che ti dovevi disperare per il tempo che passa. Lui ,invece, ti sbatteva in faccia una altra prospettiva: essere anziani può essere un super-potere.

Aveva lo stesso impatto, la stessa forza che probabilmente solo il cinema dell'ultimo Clint Eastwood può donarti. Ho incontrato ,ad adesso, pochi altri maestri che mi hanno mostrato questa "postura" nel mondo e tutte le volte ho avuto la sensazione che fossero "al di là del bene e del male"; persone che avevano visto tutto, e che, anziché chiudersi in se stesse, venivano da te a donarti quello che "loro avevano visto". Venivano a insegnare.

Tuttavia l'insegnamento di tali figure può essere tanto prezioso quanto pericoloso. Il rischio per una mente giovane come la nostra è quello di concepire la parola di un maestro non come qualcosa che proviene dalla singolare lettura che quella specifica persona ha dato dei testi e delle esperienze che ha attraversato, ma che possa essere presa come verità assoluta. Il rischio del dogmatismo è sempre dietro l'angolo ed è distruttivo in due direzioni.

E' distruttivo verso il futuro e le evoluzioni di una teoria ed è distruttivo verso il passato e il contesto storico nel quale una teoria si sviluppa.

Carli ,ad esempio, era uno psicoanalista che veniva a lezione e ci raccontava che per lui Freud era un genio ma il suo unico più grande errore è stato però quello di non fermarsi alla teoria della prima topica. Partendo da questa affermazione ancorava il suo modello dell'analisi della domanda. Se prendessimo questo insegnamento come un dogma i due movimenti distruttivi o meglio autodistruttivi che si consumerebbero in due direzioni, in avanti e indietro potrebbero essere i seguenti. In avanti l'allievo dogmatico ragionerebbe sostenendo che: "se il maestro ha detto questa cosa prendo per vere solamente le affermazioni che rientrano nel mio modello per cui non ho alcun interesse a leggere fenomeni con altri modelli" Si distrugge così la possibilità di fare nuove esperienze, di imparare nuove cose.

All'indietro il dogma risulta distruttivo perchè con lo stesso ragionamento: "se il maestro ha detto che serve conoscere solo la prima topica posso non conoscere la seconda topica e posso non pormi la questione del perché il maestro sia arrivato a questa conclusione". In conclusione il dogmatismo distrugge la temporalità e il contesto scientifico di una teoria e rischia di creare un atemporalità che non permette all'allievo di progredire.

Una lettura secondo giusta del pensiero del pensiero di Carli (e di ogni autore in senso più ampio) è una lettura che leghi le ragioni che hanno portato il maestro a quella lettura, al contesto sociale nel quale lavorava, ai suoi ideali, agli autori e ai maestri che lo hanno preceduto. Si smette quindi di essere Freudiani, Kleiniani, Winnicottiani, Bioniani o Carliani e si inizia a soggettivare il proprio sapere.

Io ho letto, negli anni, il modello di Renzo Carli come una vigorosa, ragionata e proficua protesta a quella psicoanalisi che non riesce a dialogare con le istituzioni, che non si interessa ai problemi sociali, che non ha bisogno di comunicare i propri risultati con un linguaggio più accessibile, che divide le persone in analizzabili e non analizzabili. Carli però criticava con ancora più fervore i modelli cognitivi che hanno il fervore della diagnosi e che concludono il mandato dello psicologo con la formulazione della stessa diagnosi demandando cosi le attività terapeutiche a un folto e nutrito gruppo di esperti "riabilitatori",

Carli negli ultimi anni è stato, a mio avviso, il primo alla sua età a segnalare il rischio che sia la psicologia cognitiva che la psicologia psicodinamica possano compiere un efficientissimo harakiri professionale. 

I modelli cognitivi rischiano di produrre psicologi che diagnosticano e che operano solamente in alcuni casi particolarmente severi occupandosi solo di problemi specifici e demandando a "riabilitatori" e ad atre figure una serie di fragilità che hanno la loro causa in profondi problemi relazionali.

I modelli psicodinamici rischierebbero ,invece, di aspettare il paziente che si auto-candida essenzialmente a braccia conserte nel loro studio, senza però proporre o interventi o chiavi di lettura che possano aiutare i contesti sociali e lamentandosi molto spesso che "non ci sono più i pazienti di una volta".

Carli negli ultimi anni gettò un faro e un monito sull''importanza dell'intervento domiciliare dello psicologo (figura molto spesso bistrattata, incompresa e sottopagata) sulla necessità della presenza dello psicologo nelle scuole, negli ospedali e negli studi medici, propose una profonda riflessione su quello che vogliono dire per la nostra società disabilità, inclusività, autonomia, indipendenza.

Il messaggio di Carli per noi giovani studenti di psicologia mi piace riassumerlo con un episodio che mi è capitato.

Ero andato a seguire di sabato mattina una conferenza di un gruppo di giovani colleghi che, coordinati, da lui stava svolgevano la sperimentazione dello psicologo in ospedale. Nel mezzo della conferenza, alcuni infermieri iniziarono a lamentarsi del sovraccarico relazionale che erano costretti a sopportare quotidianamente nel loro lavoro. Mentre seguivo concentrato, Carli venne fra il pubblico seduto e ,senza che io me ne accorgessi, capitatogli a tiro, fra le mani, con un movimento repentino mi tirò a sè.

Prendendomi per il collo della giacca e mi disse allora:

"Ma lo volete capire che co questi andrete a lavorare!!!!!!"

Dott. Giovanni Fiderio